Storia
Il Monastero dei Benedettini di Catania si presenta agli occhi dei visitatori come un gioiello del tardo barocco siciliano. Il plesso viene fondato dai monaci cassinesi nel 1558. Sconvolto da calamità naturali, distrutto e ricostruito, il Monastero è esempio di integrazioni tra le epoche storiche. Visitandolo si possono leggere, come in un libro aperto, i cambiamenti subiti a causa della colata lavica prima e del terremoto dopo, ma anche degli usi civili a cui viene destinato subito dopo l’Unità d’Italia.
Il primo impianto, nasceva a forma quadrata con un chiostro interno definito dei “Marmi” (ridefinito in seguito Chiostro di Ponente), per via della presenza del pregiato marmo di Carrara nell’elegante colonnato seicentesco, nella fontana quadrilobata posta al centro e dei decori rinascimentali che ne addolcivano maggiormente l’aspetto.
Il XVII secolo catanese è legato alla terribile colata lavica del 1669 e dal catastrofico terremoto del 1693. L’8 marzo del 1669, dopo ripetute scosse sismiche e assordanti boati provenienti dalla Montagna – l’Etna, si aprono due profonde fenditure da cui esce lava. Si alzano colonne di fumo, in seguito alle esplosioni vengono scagliati materiali piroclastici: l’Etna è in eruzione, il vulcano dimostra tutta la sua potenza. La colata raggiunge la cinta muraria della città intorno la fine di aprile, giungendo fino alle mura del monastero cinquecentesco. La città era stata difesa strenuamente utilizzando muri per deviare il fiume di fuoco che l’assediava.
Il monastero si salva, ma non la chiesa ad esso annessa: viene sconquassata dall’arrivo della colata. Cambia fortemente l’aspetto dei terreni limitrofi al Monastero dei Benedettini. La sciara è alta 12 mt circa e ha divorato le coltivazioni lasciando dietro di sé un paesaggio lunare.
Nel 1687, ben 18 anni dopo l’eruzione, incomincia la ricostruzione della chiesa annessa, plausibilmente su disegno dell’architetto romano Contini. Il Monastero del cinquecento era costituito da un piano interrato, destinato a cantina e deposito delle derrate alimentari e a cucina; e due piani destinati ad accogliere le celle dei monaci, il capitolo, il refettorio, la biblioteca e il parlatorio oltre che il chiostro dei Marmi.
Nella notte tra 10 e 11 gennaio del 1693 Catania trema. Il terremoto del 1693 viene considerato uno dei cataclismi naturali più devastanti per la Sicilia orientale: il Val di Noto viene raso al suolo. Secondo gli esperti le scosse raggiunsero magnitudo 7,7 della scala Richter. All’indomani del terremoto la città è distrutta e gran parte dei catanesi è sepolta sotto le macerie.
Del Monastero cinquecentesco resta integro il piano interrato e parte del primo piano. Del chiostro restano erette 14 colonne le altre cadono giù e si spezzano.
A partire dal 1702, sono trascorsi ben 9 anni dall’evento catastrofico, inizia la ricostruzione e il Monastero viene ripopolato da monaci provenienti da altri cenobi. Ingrandito rispetto alle pianta primigenia: al Chiostro dei Marmi o di Ponente ricostituito e rinnovato da elementi tardobarocchi, si aggiunge il Chiostro di Levante, con il giardino e il Caffeaos in stile eclettico, e la zona nord con gli spazi destinati alla vita diurna e collettiva dei monaci: la biblioteca, le cucine, l’ala del noviziato, i refettori, il coro di notte. Si sfrutta il banco lavico per realizzare i due giardini pensili, l’Orto Botanico – la villa delle meraviglie – e il giardino dei Novizi. La chiesa di San Nicolò l’Arena, annessa al nuovo plesso monastico, viene pensata come una piccola San Pietro siciliana, ma resta incompiuta nel prospetto principale.
Nel 1687, ben 18 anni dopo l’eruzione, incomincia la ricostruzione della chiesa annessa, plausibilmente su disegno dell’architetto romano Contini. Il Monastero del cinquecento era costituito da un piano interrato, destinato a cantina e deposito delle derrate alimentari e a cucina; e due piani destinati ad accogliere le celle dei monaci, il capitolo, il refettorio, la biblioteca e il parlatorio oltre che il chiostro dei Marmi.
Nella notte tra 10 e 11 gennaio del 1693 Catania trema. Il terremoto del 1693 viene considerato uno dei cataclismi naturali più devastanti per la Sicilia orientale: il Val di Noto viene raso al suolo. Secondo gli esperti le scosse raggiunsero magnitudo 7,7 della scala Richter. All’indomani del terremoto la città è distrutta e gran parte dei catanesi è sepolta sotto le macerie.
Del Monastero cinquecentesco resta integro il piano interrato e parte del primo piano. Del chiostro restano erette 14 colonne le altre cadono giù e si spezzano.
A partire dal 1702, sono trascorsi ben 9 anni dall’evento catastrofico, inizia la ricostruzione e il Monastero viene ripopolato da monaci provenienti da altri cenobi. Ingrandito rispetto alle pianta primigenia: al Chiostro dei Marmi o di Ponente ricostituito e rinnovato da elementi tardobarocchi, si aggiunge il Chiostro di Levante, con il giardino e il Caffeaos in stile eclettico, e la zona nord con gli spazi destinati alla vita diurna e collettiva dei monaci: la biblioteca, le cucine, l’ala del noviziato, i refettori, il coro di notte. Si sfrutta il banco lavico per realizzare i due giardini pensili, l’Orto Botanico – la villa delle meraviglie – e il giardino dei Novizi. La chiesa di San Nicolò l’Arena, annessa al nuovo plesso monastico, viene pensata come una piccola San Pietro siciliana, ma resta incompiuta nel prospetto principale.
Ingrandito, decorato, rimaneggiato il Monastero diviene uno dei conventi più grandi d’Europa, secondo, tra quelli di ordine benedettino, solo a quello di Mafra in Portogallo.
Al cantiere benedettino partecipano i grandi architetti siciliani: Ittar, Battaglia, Battaglia Santangelo, Palazzotto. Le maestranze vengono chiamate da tutte le provincie: Palermo, Messina, Siracusa. Tra i più importanti architetti si annovera Giovan Battista Vaccarini, a cui si deve la realizzazione delle Cucine e del Refettorio grande, oltre che il progetto della Biblioteca (oggi Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero). L’architetto palermitano aveva studiato a Roma venendo dunque a contatto con i grandi architetti quali Fontana, Michetti, De Sanctis. I suoi punti di riferimento e di ispirazione restarono Bernini e Borromeo che aveva studiato con passione e a cui sovente si rifaceva.